Codice: 978 - 88 - 908410 - 8 - 8
Autore: Iuri Lombardi
Editore: Talos edizioni
Anno: 2013
Genere: Narrativa Italiana Contemporanea
Prezzo libro: 10.0 €
Prezzo PDF: 0.0 €
Nº pagine: 112
Dimensioni: 13*20 cm
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Chi conosce Iuri Lombardi o ha già letto qualcosa di suo (in particolare La sensualità dell’erba o il recente racconto-manifesto Iuri dei Miracoli), non avrà nessuna difficoltà a percepire che tra le righe, sempre con l’artificio della finzione letteraria, c’è molto di lui. C’è molto di lui nel senso che l’autore affida agli scapestrati e scanzonati personaggi dei vari racconti che compongono la raccolta, le sue interpretazioni sul mondo, i suoi dubbi, i pensieri che da sempre lo attanagliano e che lo conducono ad ampie digressioni di carattere filosofico. Ma più che di filosofia in quanto tale, l’autore mette in scena il concetto di “esistenza”, centrale negli studi sull’ontologia, trasmettendo ai suoi personaggi i timori, le convinzioni e le manie mentali sulle quali, in fondo, lo stesso autore costruisce giorno dopo giorno il suo percorso nel mondo. Perché parlare di esistenza, come sottolinea da subito Iuri Lombardi nel primo racconto, non significa necessariamente o contestualmente parlare di “vita”: i due concetti, apparentemente identici e avvicinabili spesso quali forme sinonimiche, in realtà sviscerano un procedimento di costruzione del pensiero estremamente variegato. Tutto ciò che esiste, non è detto che viva. Una pietra, infatti, esiste, ma non vive, perché non è dotata degli organi e apparati che le consentano di sviluppare funzioni vitali; ma, come ci dice l’autore, la vita non è esistenza, perché, ad esempio, gli animali, che non sono dotati di autoconsapevolezza, in realtà esistono sul pianeta, ma non vivono. Ecco dunque svelato il senso che Iuri affida all’uomo: le comuni funzioni vitali e sociali vengono svolte con consapevolezza, criterio e ra- gione. In particolar modo, le funzioni sociali sono frutto di una scelta libera. Il vivere comporta spesso l’atto dello scegliere, del decidere quale percorso prendere nella vita, quale orientamento (politico, ideologico, filosofico, morale) adottare. Gli ignavi della Divina Commedia, quelli che nella Bibbia sono semplicemente i “tiepidi”, coloro che stanno in una posizione limbale, intermedia, instabile e indecisa, possiamo dunque interpretarli come esseri che esistono, ma che non vivono. Il discorso dal quale bisogna partire per una corretta interpretazione degli scritti di Iuri Lombardi è contenuto nello scrigno dorato e a tratti inespugnabile della coscienza. Lo spirito intellettivo e critico è facoltà primaria dell’uomo che tramite la congettura, l’ermeneutica, l’analisi e la considerazione di sé nel mondo è in grado di mettersi di fronte allo specchio sbrecciato e corrotto del vivere. Specchio che spesso rifuggiamo, perché ne temiamo l’illusoria immagine di rimando, il riflesso obbrobrioso, o che, al contrario, ricerchiamo quale elemento che ci consenta una riappropriazione di noi stessi, trasmettendoci forza e sostegno e convincimento nell’importanza dell’esistere. Com’era accaduto per il giocoso Iuri dei Miracoli, felice trasposizione sulla carta di un giovane coscienzioso ma emarginato dalla vita perché amico del diverso, anche qui l’autore sale su quel ricco palcoscenico di maschere, figuranti, sembianze e caricature che in maniera ispessita danno manifestazione di quel mondo di luci e ombre nel quale tutti i giorni viviamo. Assistiamo nuovamente ad apparizioni che ci consentono ancora una volta di avvicinare la narrativa lombardiana ai motivi letterari cari all’esistenzialismo quali la maschera, il doppio, lo specchio, la crisi dell’Io, la spoliazione dell’identità. L’autore, però, non riconduce meramente questi accadimenti a ragioni di tipo storico-sociale quali potrebbero essere il cosmopolitismo, la massiccia industrializzazione, l’alienazione dell’uomo, la mostruosità delle azioni umane, ma trasfonde il tutto su un piano che è a metà tra il metafisico e il ludico: colloquia con le sue maschere e dà loro voce, le interpella, fa riflettere il lettore; tutto avviene in uno spazio recondito della mente che conserva una situazione di latenza. La vita dell’uomo viene ri- scritta traendo linguaggi e isotopie dal pensiero religioso e filosofico, ma con naturalezza e in maniera spensierata, senza porsi un traguardo preciso. Il discorso è tutto su sé, sull’essere e sul significato che questo può avere in una dinamica di rapporti variegati che si instaurano tra amici, amanti ed il mondo. Ritorna l’attenzione nei confronti del mondo delle comunicazioni (radio, giornali, internet) e il tema della sessualità che viene affrontato in maniera esplicita senza generare troppo scandalo nel lettore borghese. Il sesso viene tratteggiato come motore del rapporto di coppia – non tanto amoroso, ma esso stesso sessuale –, come elemento necessario e imprescindibile nella conduzione del percorso di vita dell’uomo: “Il sesso alla fine è solo un incontro di sensi. Siamo arrivati a farlo, a commetterlo come fosse un delitto, solo in nome del piacere che sa di catarsi”. Come in un remake ovidiano, le “metamorfosi”, o i camuffamenti d’identità che il libro propone sono parecchi, alcuni deprimenti, altri addirittura singolari e degni di uno smanciato sorriso, come per l’imperturbabile showman del secondo racconto, ormai decaduto dal punto di vista professionale (e forse anche etico), che decide di proporsi al mondo sotto le sembianze di cartomante, ossia di abile venditore di destini, animatore di speranze o decretatore di nefasti avvenimenti. Il cartomante, in fondo, sfida Dio e tutte le divinità e si arroga il diritto alla conoscenza dei misteri del creato, svelando sorti, decretando esiti con i suoi vaticini supremi, forse con la consapevolezza insita nella sua persona di truffare l’altro, ma di essere costretto a farlo per il proprio bene, ossia per l’ottenimento di un guadagno. Si parla molto di morte, ma è una morte pensata, idealizzata e non concreta. Non ci sono spargimenti di sangue, grilletti che scattano o fughe di gas; la morte è utilizzata, quale pretesto, quale tema di curiosità e motivo d’interesse e coinvolgimento, ma, come osserva l’autore: “Esiste morte e morte. […] Una morte solo in teoria, che rimanga sulla carta, tra i corsivi dei giornali, nelle pieghe della memoria delle persone. Insomma, un’ipotesi. Una morte finalizzata ad un determinato scopo, irreale, fittizia; giusto quanto basta per essere una cattedrale nel deserto, una stazione senza treni ma munita di bigliettaio – con tanto di biglietti da vidimare – una morte, punto e basta.”. Ed ecco allora che la morte assurge a personaggio visto e non-visto, celato, presente ma invisibile, agognato ma in forma mitigata, ricercato ma come “tema” e non come “concetto”: in questa ma-niera si gioca con la tecnica nominalista, mostrando al lettore un chiaro intento meta-letterario nel momento in cui il discorso finisce per essere giocato tutto sulla parola, sulla consacrazione del significato non omologato e comune, ma scelto dall’autore. La morte, appunto, non è un gesto estremo che consente al personaggio di togliersi di mezzo o di eliminare l’altro, ma è una ipotesi. Una idea, dunque, una possibilità, una probabilità sulla quale riflettere: un mondo ipotetico da far diventare reale sul quale si vagheggia, sempre conservando la consapevolezza che “morire comporta una certa responsabilità”. Nei confronti di se stessi e degli altri, certo. Ma, si po- trebbe aggiungere che morire presuppone anche un certo coraggio. Lo sguardo lucido dell’autore rifugge qualsiasi visione trasognata della realtà e ne dà un’analisi a tratti critica, a tratti volutamente caricaturale perché soverchiamente “abbruttita” di connotati che denotano decadenza, rovina, senso del disfarsi, decomposizione. Anche nelle storie dove si respira un’aria soave e apparentemente edenica, persistono delle mancanze, delle storture, delle negatività: “la storia felice ebbe subito a coprirsi di un velo nero”, leggiamo nel terzo racconto della raccolta, quello che dà il titolo alla silloge. E si ricordi che il primo racconto fornisce una rilettura del sacrificio cristiano come morte che ha una sua significazione perché manifestazione dell’esserci nel presente. Iuri Lombardi è inoltre un attento esegeta del mondo e sa che questo non è altro che un’imprevista mistura di bello e brutto e che è proprio dal tragico, dal doloroso, dal lutto che spesso si può partire per una nuova fase di felicità e speranza, una sorta di “resurrezione” che tanto fa pensare ai “ribaltamenti di fortuna” dell’epica e delle narrazioni favolistiche. Non mancano manifestazioni estreme di narcisismo che si realizzano nella sfera sessuale mediante forme di abuso di potere, imposture e atteggiamenti perversi come quando si allude a un possibile rapporto incestuoso del protagonista di un racconto, il quale non ricorda se l’atto sessuale sia realmente accaduto: “Ma con mia figlia forse non c'è stato coito, non credo almeno…”. Dopo aver saputo che lo stesso uomo, come in una goliardica esperienza giovanile, si è masturbato assieme al figlio, possiamo concludere che l’incesto, sì, c’è stato. Ma ovviamente è un’interpretazione e sta al lettore decidere in merito; l’autore preferisce scendere nelle descrizioni di quei momenti piuttosto che cristallizzare il tutto in maniera asettica nella parola incesto. Il lettore non prova shock nel leggere, poche righe più avanti “con mia figlia Noemi, non c'è stato niente. Forse solo una pomiciata. Però, a ricordare, a sforzarmi, […] una sola volta l'ho penetrata, ed è rimasta incinta” poiché la modalità del racconto, diretta e priva di coinvolgimenti emotivi, dà molto da pensare: ci troviamo di fronte ad un folle che non ricorda e che sta mistificando la realtà? Si crea così un’atmosfera di sospensione, tra detto e non detto, verità e finzione, normalità e follia ed è impossibile giungere alla realtà fattuale che di continuo è minacciata da queste anomale ed intermittenti reminiscenze. Dal vagabondo con sguardo bohémien e dal trasformista d’identità che contraddistinguevano Iuri dei Miracoli, assistiamo ad un passo in avanti; compare, in più, una velata critica nei confronti delle multinazionali che sfruttano e scherniscono la Madre Terra per i loro fini commerciali, come l’estrazione dell’oro nero a cui ci si riferisce nel racconto “La camicia di Sardanapalo”, dagli influssi verghiani per la descrizione accurata e derelitta del Meridione e dagli echi di Calvino che tanto si batté contro la speculazione edilizia e la massiccia cementificazione. Nella silloge è presente anche un chiaro riferimento alle morti bianche, ai caduti sul lavoro, una realtà drammatica che da sempre è un nervo scoperto: “Uno degli operai dell'Est, uno dei tanti idioti che avevo pescato da quelle parti, mi era scivolato dall'impalcatura ed era morto sul colpo, ridotto un grumo di sangue al suolo. Si trattava di un grosso grattacapo e i sindacati non mi davano pace. Certo, ammetto che non ero in regola, che le carte le avevo sporche, ma da qui a sostenere che sono uno schiavista, uno sporco e mediocre uomo d'affari, ce ne corre. Fu un incidente, alla fine, solo un incidente. Spesso capitano alla gente che lavora sulle impalcature e quel giorno capitò a lui, a Besnik, così si chiamava, pace all'anima sua.”. Iuri Lombardi sonda la realtà dolorosa del nostro oggi, di quella che i sociologi e la filosofia definiscono post-postmodernità, inaugurata con l’attentato alle Torri Gemelle nel 2001, episodio all’origine della diffusione di un clima d’odio misto a vendetta e di una atmosfera pesante, di ristagno, dove la paranoia e l’allar- mismo hanno fatto (e fanno) da padroni indiscussi. C’è una storia che si colloca all’interno dell’apologia della strage, sebbene non si chiarisca la componente ideologica: l’impresa di un kamikaze che muore per un suo fine, per una sua volontà di portare dolore e morte nella società, è vista dagli occhi del narratore non quale gesto estremo e da condannare, ma con malinconia, nella descrizione di una persona ora “non più qui”. Ma il potere della prosa dell’autore si cela nei profondi e sincopati squarci psi- cologici dei suoi personaggi, nella consacrazione dell’e- marginato come eroe dell’oggi, nelle drammatiche e tortuose divagazioni sull’esistenza in scenari da sobborgo, e in storie “maledette” dal sapore almodovariano. “Non avevo mezze misure”, dice Roberto Casagrande nel racconto “Amplessi Hollywoodiani”, ed è questo l’ingrediente principale che Iuri Lombardi utilizza con generosità nelle sue storie. Lorenzo Spurio, scrittore e critico letterario.