Codice: 978 - 88 - 98838 - 11 - 0
Autore: Elena Blancato
Editore: Talos edizioni
Anno: 2014
Genere: Racconto. Ricostruzione storico-letteraria.
Prezzo libro: 10.0 €
Prezzo PDF: 0.0 €
Nº pagine: 56
Dimensioni: 12*20 cm
AcquistaTrama
Prefazione IL MARTIRE DELLA CARITÀ PADRE PLACIDO CORTESE Mi è particolarmente gradito premettere queste righe a ‘Ruah, Soffio dello Spirito’ la suggestiva rievocazione dedicata da Elena Blancato a Padre Placido, al secolo Nicolò Cortese (1907-1944), luminosa figura di martire francescano trucidato in circostanze oscure dai nazisti nell’autunno del 1944 nella Trieste dell’Adriatisches Küstenland. L’interesse per la testimonianza esemplare di Padre Placido Cortese è andato crescendo nel dopoguerra come attestano ricerche e rievocazioni in italiano, sloveno e croato, in particolare l’accurata biografia di Padre Apollonio Tottoli (2001), e perfino l’istruzione di due processi di canonizzazione da parte delle autorità ecclesiastiche italiane, l’ultimo dei quali si è concluso il 25 ottobre 2012. Tuttavia, nonostante queste attestazioni di stima e di rispetto, molto resta ancora da fare per preservarne la memoria e farlo conoscere alle nuove generazioni. Come scrive Elena Blancato “ancora oggi non esiste in Piazza Oberdan una targa con il nome di Padre Placido Cortese.” Quindi questa rievocazione letteraria in suo onore è tutt’altro che superflua e viene a colmare una lacuna storica. Nicolò Cortese era nato nella Cres - Cherso asburgica il 7 marzo 1907 dove, per secoli, sotto il dominio della Repubblica di Venezia, e poi sotto l’Impero austro-ungarico erano convissuti e convivevano pacificamente italiani e croati. La sua formazione fu il frutto della fusione armoniosa fra queste due culture e contribuì ad allargare i suoi orizzonti mentali nei confronti della diversità etnica. Dopo la scuola elementare croata a Cres - Cherso, a tredici anni entrò nel Seminario di Camposampiero non lontano da Padova. Novizio nel 1923 nella famiglia francescana del Santo, Nicolò prese i voti nel 1924 e, dopo studi teologici a Roma, venne ordinato sacerdote nel 1930. Durante la guerra si trovava a Padova dove dirigeva il periodico e l’opera “Messaggero di Sant’Antonio”. Con il procedere del conflitto e l’inasprirsi del clima repressivo da parte del regime fascista italiano, Padre Cortese fu ben presto implicato in una missione umanitaria in favore dei perseguitati di ogni fede politica nel campo di concentramento di Chiesanuova, nel Padovano, istituito nel 1942, destinato ad accogliere sloveni e croati provenienti dalla Jugoslavia occupata, che subivano gli effetti della politica vessatoria e discriminatoria fascista. Nella sua efficace rievocazione a “montaggio alternato”, come recita la motivazione del premio Fogazzaro di cui è stata insignita, Elena Blancato avvicenda il racconto dell’arresto e della carcerazione di Padre Cortese nel bunker della Gestapo di Piazza Oberdan a Trieste dove fu rinchiuso e ferocemente torturato dai nazisti dal 9 ottobre fino alla metà del novembre 1944, (l’autrice condensa lo scritto al settimo giorno di tortura), a momenti della sua vita precedente, nell’isola natia e a Padova. È infatti proprio la sua Cres - Cherso, nel nitido splendore del golfo del Quarnaro, l’immagine che gli fa da viatico e lo protegge al varco degli ‘Inferi’ di piazza Oberdan, il bunker dove il 9 ottobre 1944 subì le prime torture. E sarà ancora la bellezza di questo mare e il ricordo sereno di un bagno a Cres - Cherso nel giugno 1920 in compagnia dell’amata sorella Nina a confortarlo nel buio ostile delle celle di piazza Oberdan. Questo bagno era stato in un certo senso l’addio di Mico, come veniva chiamato Nicolò in famiglia, non solo alla sua amata isola ma anche alla cara sorella Nina alla quale, conscio dell’irreversibilità del distacco, aveva promesso: «il mio pensiero e il mio cuore sarà sempre a Cherso, nella pace di questo nostro golfo azzurro!». Il viaggio da Padova a Trieste nell’auto dei nazisti era stato veloce fino alla sua meta: il bunker di piazza Oberdan. Là si sarebbe consumato il destino terreno di Padre Placido, là dove il tempo, come ha scritto mirabilmente in Necropoli Boris Pahor «aveva già da un pezzo perduto il valore che gli dà la rotazione dei corpi celesti» (Necropoli, p. 68). Il mondo degli sloveni con le sue complesse problematiche, era riaffiorato con prepotenza nella vita di Nicolò, ormai il francescano Padre Placido, in seguito all’incontro nell’agosto del 1942, a Padova, con “tre belle ragazze” slovene: Majda Mazovec, Marija Ujčić e Marija Slapšak. Il motivarsi dell’impegno del religioso in favore degli internati sloveni e croati del campo di Chiesanuova è ripercorso con mano felice di Elena. Decisivo al riguardo fu il ruolo di Majda Mazovec, che gli fece intendere che proprio la sua particolare condizione di religioso gli poteva garantire un accesso agevolato al campo. Qui venivano, a volte, trasferiti prigionieri provenienti dal campo di Kampor ancor oggi visibile nell’isola di Rab - Arbe in Croazia. L’umanità di Padre Placido viene fatta emergere a tutto tondo dalla Elena Blancato in un incontro, nel novembre 1942, tra il religioso e Franc, un internato comunista responsabile della distribuzione dei sussidi alimentari fra i prigionieri del campo di Chiesanuova. Il Padre riesce a convincere il suo interlocutore a non effettuare discriminazioni tra internati comunisti e non comunisti, persuadendolo con il calore della sua fede che solo il messaggio francescano dell’amore e del perdono può vincere l’odio che, quando impera, «calpesta ogni legge, anche la più sacra». È questo il presupposto fondamentale dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani di fronte alla sofferenza, la panacea contro tutti gli impedimenti ideologici. Il calvario di Padre Placido nel bunker di piazza Oberdan è puntualmente ricostruito durante l’interminabile martirio fino all’epilogo finale, il momento in cui si perdono le sue tracce. Le sevizie inflitte dagli aguzzini sul corpo martoriato del frate non riuscirono ad aver ragione sul suo spirito indomito e sulla sua infinita capacità di sopportazione. L’invincibile mitezza di Padre Placido aveva accresciuto la vana ferocia dei suoi carcerieri ma, al contempo, aumentato la distanza che lo separava da loro. Infatti se il ripetersi crescente e monotono dei tormenti stava distruggendo il suo corpo, lo aveva, paradossalmente, reso quasi insensibile al dolore, tanta malvagità lo allontanava dai suoi carnefici. Nelle parole dell’autrice: «Oramai l’immagine del mondo che lo circondava si stava nuovamente offuscando. Il respiro si faceva sempre più debole, il battito del cuore più lento. Era di nuovo nell’anticamera della morte. Il dolore lo stava abbandonando del tutto, come il suo corpo. Così ancora una volta, egli lasciava il suo vestito martoriato nel bunker, e partiva con l’anima indietro… altrove… nel luogo indefinito dello spirito che si era scavato da solo con la preghiera…». Elena Blancato con il suo scarno e commovente racconto ha saputo felicemente introdurci nella fase cruciale dell’avventura terrena di Padre Placido. In quei giorni tremendi il religioso trovò conforto solo nella preghiera e nella sua interiorità per cercare un approdo alle rive dell’Eterno. Ne è sortito un ritratto indimenticabile di quest’umile sacerdote, martire di Cristo, che in uno dei momenti più oscuri della storia del Novecento ha saputo offrire una testimonianza esemplare: l’esperienza della fede quale tramite di solidarietà e di unione fra gli uomini, al di là di tutte le divisioni e le ideologie, nell’impervio cammino della loro vicenda terrena. Dottor Pier Cesare Ioly Zorattini